Il primo aprile il prof. Marco Mancini, Capo Dipartimento del MIUR per la formazione superiore e la ricerca, ha tenuto, su invito della Scuola Normale Superiore di Pisa, una conferenza sul tema “Dove va l’Università Italiana”.
Nella prestigiosa Aula Azzurra della Scuola, davanti ad una platea che includeva i sette rettori delle Università e Scuole di Alta Formazione toscane e autorità di governo regionale e locale, Mancini ha presentato un’ampia analisi degli aspetti critici e di possibile novità del sistema universitario italiano, citando spesso le sinergie esistenti e possibili tra mondo universitario e enti pubblici di ricerca (EPR).
Questi ultimi sono stati portati al cuore della discussione dall’intervento di Antonio Rizzo, Ricercatore CNR e membro della Segreteria Nazionale dell’ANPRI, che ha sollevato la questione delle specificità degli EPR anche alla luce dell’attesissima emanazione del decreto attuativo dell’art. 13 della legge n. 124/2015 sulla semplificazione delle attività degli EPR, da farsi entro agosto. Dopo aver sottolineato che gli EPR hanno le stesse esigenze dell’università (semplificazione burocratica, coerenza della valutazione, ridefinizione delle dinamiche del reclutamento e progressione di carriera, per non parlare della madre di tutti i problemi: l’erosione che negli ultimi anni ha avuto il fondo ordinario degli EPR, parallelamente a quella subito dall’FFO universitario), Rizzo ha menzionato i problemi generati dalle rigidità della pianta organica d’ente, che penalizza pesantemente la dinamica di progressione delle carriere di R&T, e dalla mancata definizione dello stato giuridico dei R&T degli EPR: “In questa situazione, da Lei stesso definita promettente, – ha chiesto Rizzo – si arriverà a introdurre norme per uno stato giuridico per i ricercatori e tecnologi degli EPR?”.
La risposta di Mancini è stata decisamente incoraggiante: “La risposta è tendenzialmente sì. Una cosa è sicura: lo stato giuridico è nella delega, è va necessariamente normato”. “Dovremo inoltre proporre di normare, attraverso la Funzione Pubblica, – ha proseguito Mancini – quelle che sono anche le nuove architetture istituzionali del funzionamento degli EPR. Perché se è vero che gli EPR hanno le stesse esigenze dell’Università, è vero che le criticità sono anche superiori a quelle dell’università. Uno dei problemi degli EPR è la “famosa” autonomia mancata. L’articolo 8 della legge 168 del periodo Ruberti metteva esattamente sullo stesso piano EPR ed università; per essere più precisi le procedure per la regolamentazione e gli statuti degli EPR erano gli stessi dei due articoli precedenti 6 e 7 della legge 168. Nel caso dell’università, con un po’ di ritardi su quella finanziaria, si è potuta attuare una piena autonomia. Questo non è stato possibile sinora per gli EPR. Una prova fattuale di questo è che il decreto legislativo 213, l’ultima riforma generale degli EPR, laddove parla di autonomia, cita l’autonomia regolamentare degli EPR, senza mai riferirsi all’autonomia statutaria. Ciò è sintomatico di una tendenza evidente a vedere gli EPR a un rango più basso rispetto all’università. È nostra idea dare pieno compimento a quella antica sfida di Ruberti del 1989. Da questo punto di vista ci stiamo incamminando bene”.
Un altro segnale che siamo ad un passaggio quanto mai promettente per la sorte degli EPR di questo Paese? Resta solo un dubbio: vestiremo a festa la Ricerca italiana riconoscendole autonomia statutaria, continuando però a negarle le cure ricostituenti di cui ha assoluta necessità (leggi risorse e investimenti) lasciandola consumarsi lentamente?