Approvato dal CdM, il decreto riguardante Modifiche e integrazioni al testo unico del pubblico impiego interviene, in modo significativo, anche sul sistema della contrattazione nel pubblico impiego benché questo obiettivo non fosse presente nella delega concessa al Governo dalla Legge n. 124/2015, che nell’art. 17, comma 1, lettera h) “confina” i possibili interventi alla contrattazione integrativa.
Il testo approvato non è stato ancora ufficialmente presentato alle Camere per il prescritto parere (è richiesto anche il parere del Consiglio di Stato e, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, l’intesa con le Regioni) e pertanto i nostri commenti fanno riferimento alle anticipazioni circolate in rete e ai testi presentati dal ministro Madia nell’incontro con le Confederazioni sindacali del 15 febbraio.
Particolarmente “innovative” (e quindi apparentemente fuori delega, come sopra evidenziato) risultano le modiche apportate all’art. 2 del D.Lgs. 165/2001: infatti, mentre il testo vigente contempla la possibilità per la contrattazione collettiva nazionale di derogare da normative non contrattuali che investano aspetti di competenza della contrattazione, ma solo se tale possibilità è prevista dalle norme in questione, ora col nuovo Testo Unico del pubblico impiego sarà comunque possibile derogare da tali normative, anche se precedenti (!) all’entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 2.
Se poi si considera quali materie siano ora affidate, dal nuovo art. 40 comma 1, alla contrattazione nazionale, risulta evidente un ampliamento delle prerogative della contrattazione rispetto a quelle delle legge. Invece di “diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro” si parla ora genericamente di “rapporto di lavoro”, le “progressioni economiche” vengono sottratte del tutto alla legge e nelle materie su cui la legge può intervenire dettando dei “limiti” alla contrattazione, tali limiti non sono più “esclusivi”.
Lo schema di decreto riporta anche delle norme che non modificano o integrano il D.Lgs. 165, quali quelle contenute nell’art. 23 del testo a noi noto; da esse emerge, in particolare, la preoccupante indicazione per una “progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori” nell’ambito di ciascun comparto o area dirigenziale, cosa che può prefigurare un livellamento verso il basso delle retribuzioni a parità di funzioni.
Desta una certa preoccupazione anche la norma contenuta nel comma 2 dell’art. 23 che impone che “a decorrere dal 1º gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale […] non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016”. Ciò significa che ogni nuova assunzione comporterà una riduzione del trattamento accessorio percepito da ciascun dipendente?
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