Circa 7 miliardi di euro sono arrivati in Italia nel periodo 2007-2013 dall’Unione Europea per finanziare “ricerca e competitività” delle nostra regioni meridionali allo scopo di ridurre il divario tra regioni ricche e povere dell’EU.
Miliardi gestiti dal MIUR e dal MISE che hanno dato origine a circa 4mila Progetti PON (la cui rendicontazione è ancora in corso benché siano passati tre anni dalla teorica conclusione dei progetti stessi) e che hanno rappresentato un fiume di danaro che la giornalista Silvia Bencivelli, con l’aiuto di Gaetano Salina, fisico dell’INFN e grazie al portale OpenCoesione istituito dal governo Monti nel 2012, è riuscita pur con grande difficoltà a ricostruire nell’articolo “Fondi europei, misteri italiani” pubblicato nel numero di settembre di Le Scienze.
Una ricostruzione che non manca di clamorose sorprese.
Perché se è vero che i principali beneficiari di questi finanziamenti sono stati in prima battuta gli stessi MIUR e MISE e le loro agenzie (che avrebbero incamerato circa 1,6 miliardi di euro!), il CNR e altri Enti di ricerca quali l’ENEA, l’INFN e l’INGV, le università di Puglia, Sicilia, Calabria e Campania, e poi industrie grandi, medie o piccole, parte dei fondi europei sono stati utilizzati per finanziare “ricerca e competitività” di aziende produttrici di materassi, di imballaggi o di scocche per automobili. Tra i beneficiari si trovano anche due case di riposo, cinque autolavaggi, trentadue negozi di abbigliamento, sette impianti sportivi e cinque negozi di abiti da sposa. E poi ancora, birrifici, bed & breakfast e campi di beach volley, pastifici, panifici e oleifici, iniziative di bike sharing e social network per il turismo. A volte gli enti beneficiari hanno nomi a cui non corrisponde un sito internet, o indirizzi che, utilizzando Google maps, sembrano corrispondere a strade provinciali polverose e deserte.
Il problema ovviamente non si limita alla sola “identificazione” dei beneficiari ma è molto più ampio, come sottolinea, sulle pagine de La Repubblica, il fisico Giorgio Parisi: “Non si sa come siano stati scelti i progetti ammessi al finanziamento, secondo quale idea generale”. “Il sospetto – aggiunge Parisi – è che una gran parte di questi soldi sia stata buttata via” perché la cosiddetta “accountability” in Italia non esiste: “Chi è responsabile di come vengono spesi i soldi? Nell’università italiana sembra che non lo sia mai nessuno. Non ci sono vere valutazioni a valle, nessuno va mai a vedere come funzionano le cose”.
“A leggere quei numeri si scopre – denuncia ancora Parisi – che l’ospedale privato di San Giovanni Rotondo ha ricevuto 12 milioni di euro. Cioè più o meno quanto il MIUR dà, in un anno, a tutta la ricerca in biologia. Beh, con quei soldi è stata fatta davvero ricerca di qualità?“.
E il problema non è molto probabilmente circoscritto ai soli PON “Ricerca e Competitività” perché, come indicato sul portale OpenCoesione, nel settennato 2007-2013 i fondi strutturali ammontavano complessivamente a quasi 100 miliardi di euro, spesi per finanziare quasi un milione di progetti. Finanziamenti che, se ben utilizzati, avrebbero potuto lanciare il Paese verso un’era di vera innovazione.