Incostituzionale il blocco delle assunzioni per le amministrazioni pubbliche in ritardo con i pagamenti

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 272 del 22 dicembre 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 41 del DL 66/2014 recante “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale” che prevede che le amministrazioni pubbliche, per le quali si fossero registrati tempi medi nei pagamenti superiori a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni dal 2015, non possano procedere nell’anno successivo a quello di riferimento ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.

L’intervento della Corte Costituzionale è avvenuto a seguito dell’impugnativa della norma da parte della Regione Veneto che vi ha ravvisato la violazione di principi costituzionali sia di carattere generale, sia relativi alle autonomie regionali.

Per quanto riguarda i principi di carattere generale, che interessano quindi la totalità delle amministrazioni pubbliche, la Corte Costituzionale ha riconosciuto la violazione del “principio di proporzionalità” ricavabile dal primo comma dell’art. 3 della Costituzione, in quanto la disposizione contestata prevede che “qualsiasi violazione dei tempi medi di pagamento da parte di un’amministrazione debitrice, a prescindere dall’entità dell’inadempimento e dalle sue cause, sia sanzionata con una misura a sua volta rigida e senza eccezioni come il blocco totale delle assunzioni per l’amministrazione inadempiente”. Il principio di proporzionalità richiede invece – come stabilito da precedenti sentenze della stessa Corte Costituzionale – che la norma sia “necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti” in quanto prescrive, tra le varie misure del caso, “quella meno restrittiva dei diritti a confronto” con “oneri non sproporzionati” rispetto agli obiettivi che intende perseguire.

L’art. 41, comma 2, del D.L 66/2014 non appare invece sempre adatto a far sì che le amministrazioni pubbliche paghino tempestivamente i loro debiti e non costituisce quindi “un adeguato deterrente alla loro inadempienza”.

Il blocco delle assunzioni, colpendo indistintamente ogni violazione dei tempi medi di pagamento, può infatti investire amministrazioni in ritardo con il pagamento dei loro debiti per cause ad esse non imputabili, quali ad esempio mancati o ritardati trasferimenti di fondi da parte dello Stato. In questo caso, l’ente pubblico non avrebbe la possibilità di evitare ritardi nei pagamenti e quindi “la minaccia del blocco delle assunzioni o la sua concretizzazione non potrebbe sortire l’effetto auspicato”.

Secondo la Corte, inoltre, anche nel caso in cui il ritardo dipendesse da disfunzioni e negligenze dell’ente nei pagamenti, la norma potrebbe raggiungere più efficacemente i propri scopi con un “sacrificio opportunamente graduato” degli interessi costituzionalmente protetti.

Non può nemmeno essere trascurato il fatto – argomenta la Corte – che la norma non tiene conto della consistenza del personale dell’ente pubblico, rispetto alla quale “l’afflittività della sanzione in essa prevista può variare imprevedibilmente e risultare eccessiva (e, dunque, sproporzionata)” proprio per quelle amministrazioni (le Regioni, nel caso in esame) che hanno ridotto la spesa per il personale a seguito dei vincoli posti dal legislatore.

Per le stesse ragioni che hanno portato la Corte a riscontrare la lesione del principio di proporzionalità, la norma censurata è stata giudicata in conflitto anche con il secondo comma dell’art. 97 della Costituzione: il blocco delle assunzioni può pregiudicare il buon andamento della pubblica amministrazione e non risulta giustificato dalla tutela di un corrispondente interesse costituzionale, dato che si tratta di una misura inadeguata a garantire il rispetto del termine fissato per il pagamento dei debiti.

 

Questa notizia è stata pubblicata nella Newsletter ANPRI n. 1 del 14 gennaio 2016.

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