Giovedì 29 settembre, una delegazione della CIDA di cui faceva parte l’ANPRI è stata ascoltata in audizione dalla VII Commissione della Camera e dalla 7a Commissione del Senato, in seduta congiunta, in merito allo schema di decreto legislativo (A.G. 329) recante semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca (in attuazione dell’art. 13 della legge delega n. 124/2015).
Come anticipato nel Comunicato del 29 settembre, il Segretario Generale dell’ANPRI ha presentato le proposte della Confederazione, consegnando altresì una Memoria nella quale sono illustrate e motivate con maggior dettaglio ed approfondimento le proposte dell’ANPRI e della CIDA.
In particolare, dopo aver sottolineato il serio e rigoroso lavoro di analisi svolto dalla VII Commissione del Senato sull’Affare Enti pubblici di ricerca, lavoro che si era concluso con l’approvazione di una Risoluzione che aveva disegnato un coerente ed incisivo progetto riformatore del Sistema della ricerca pubblica, nella Memoria consegnata alle Commissioni viene riconosciuto che lo Schema del decreto legislativo affronta in maniera positiva alcuni dei punti organicamente individuati nella Risoluzione, ad esempio individuando quale campo di applicazione delle norme tutti gli Enti di ricerca, indipendentemente dal ministero vigilante, ed eliminando alcuni vincoli gestionali previsti per le Pubbliche Amministrazioni che ostacolano la funzionalità degli Enti.
Tuttavia, mancando nel testo deliberato punti importanti e qualificanti, quali ad esempio la definizione di uno stato giuridico dei ricercatori e tecnologi, lo schema di decreto 329 appare debole e complessivamente non rispondente alle necessità di intervento sollecitate da più parti.
La Memoria prosegue, quindi, individuando gli elementi più critici e proponendo opportune modifiche.
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Diritti e doveri di ricercatori e tecnologi. Benché nella stessa “Relazione illustrativa” allo Schema di decreto si riconosca la necessità di un intervento normativo (“Tuttavia il recepimento dei diritti e doveri di ricercatori e tecnologi deve essere garantito a monte come un corpus di norme generali a cui tutti gli statuti e regolamenti possano fare riferimento. È evidente che tale scopo non possa essere raggiunto con un semplice contratto di lavoro, soggetto alla variabilità della contrattazione ma necessiti di un provvedimento sovraordinato quale il presente schema di decreto”), nella attuale formulazione dell’art. 2 “Carta Europea dei ricercatori” non v’è traccia alcuna di quel “corpus di norme generali”, valide per tutti gli Enti, che avrebbe dovuto essere “garantito a monte”, mentre c’è la scelta di delegare il recepimento della Carta Europea dei ricercatori agli Statuti e ai Regolamenti dei singoli Enti, a cui vengono indicate delle linee guida del tutto generali. Inoltre, nello schema di decreto non viene richiamato il documento European Framework for Research Careers, volto a stabilire un quadro comune di classificazione delle carriere per renderle comparabili e favore la mobilità dei ricercatori, il cui recepimento era invece espressamente previsto dalla legge delega
Così facendo, il complesso del decreto appare debole e inadeguato a dare attuazione al mandato contenuto nella delega. La scelta di delegare ai singoli Enti in che modo recepire la Carta Europea dei ricercatori potrebbe persino accrescere le difformità fra i diritti e i doveri dei R&T che lavorano in Enti diversi, causando un aumento della frammentarietà del sistema Ricerca.
Inoltre, lo schema di decreto non prevede negli organi di governo e consultivi degli Enti alcuna forma di rappresentanza dei R&T, che rischiano così di rimanere esclusi dai processi decisionali, subalterni ai vertici gestionali e amministrativi, in palese contraddizione con uno degli obiettivi principali della Risoluzione e della delega che auspicava la “valorizzazione dei R&T”.
È invece necessario (e non più rinviabile) garantire la presenza di R&T eletti negli organi di governo del proprio Ente, la loro partecipazione ai processi consultivi (ad esempio, istituendo presso ciascun Ente una “Consulta dei ricercatori e tecnologi”) e una rappresentanza ufficiale di tutte le comunità scientifiche degli EPR (istituendo il “Consiglio Nazionale dei Ricercatori e Tecnologi”, in analogia con il Consiglio Universitario Nazionale).
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La premialità per gli Enti vigilati dal MIUR. La previsione di meccanismi di premialità per gli Enti vigilati dal MIUR è un obiettivo condivisibile e da perseguire, tenendo però in debito conto sia la previsione di risorse ordinarie adeguate per sostenere le spese correnti e per consentire lo sviluppo di linee di ricerca “di frontiera”, sia la necessità di definire in modo trasparente e condiviso criteri di misurazione delle performance che consentano una adeguata comparazione dei diversi Enti, in grado di tenere conto delle specifiche caratteristiche delle loro diverse missioni. In particolare, mentre è del tutto condivisibile l’istituzione di un fondo specifico nel bilancio dello Stato, come previsto al comma 3 dell’art. 5, destinato al finanziamento premiale dei Piani Triennali di attività o di specifici programmi e progetti (i cosiddetti “progetti premiali”), non è accettabile che i fondi per la premialità vengano invece defalcati dal fondo di finanziamento ordinario, così come previsto al successivo comma 4.
A tale proposito, bisogna sottolineare che in più occasioni la stessa VII Commissione della Camera ha affermato che “la quota premiale dovrebbe essere aggiuntiva e non ritagliata nell’ammontare definito del FOE”.
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Programmazione e reclutamento del personale. L’art. 8 dello schema del decreto rappresenta, sulla carta, un rafforzamento dell’autonomia degli Enti nella programmazione e nel reclutamento del personale. Questa autonomia viene però in larga parte limitata dalla norma contenuta nel comma 3 che impedirà agli Enti il cui costo del personale supera il limite dell’80% del finanziamento assegnato dallo Stato (quali il CNR, l’OGS, l’INDIRE e l’Area di Trieste, per limitarci agli Enti MIUR) di procedere a nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato per diversi anni a venire, mettendo a serio rischio sia il futuro lavorativo delle migliaia di precari che da anni lavorano negli enti di ricerca sia le aspettative di carriera del personale di ruolo (di cui quasi il 70% è fermo da anni nel livello di ingresso). Inoltre, il limite dell’80%, valido per tutti gli Enti, non tiene conto della specificità degli EPR. In alcuni di essi, infatti, l’incidenza delle spese per il personale è ben al di sotto del limite fissato non tanto perché questi enti siano “virtuosi”, quanto perché si tratta di istituzioni con un numero limitato di addetti che agiscono prevalentemente come finanziatori di progetti nazionali di carattere strategico e sui quali gravano ingenti spese per le apparecchiature e la gestione di grandi infrastrutture e di laboratori nazionali o extra-nazionali. La vera soluzione a questo problema non potrà che essere l’incremento dei fondi ordinari degli EPR, in particolare di quelli che che hanno subito negli anni i tagli più pesanti. Tuttavia si propone, nell’immediato, di riconsiderare l’introduzione di questo limite, prevedendo che sia almeno parametrato al finanziamento complessivo di ciascun ente.
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La valorizzazione del merito e la “chiamata diretta”. Con l’obiettivo (condivisibile) di valorizzare il merito di ricercatori e tecnologi, l’art. 14 dello schema di decreto prevede di istituire e finanziare “premi” biennali per chi abbia conseguito risultati di eccellenza nelle specifiche discipline di competenza, decurtando però dello 0,5% (in virtù del vincolo di invarianza di bilancio) le risorse destinate alla spesa complessiva per il personale. Essendo per di più assente un qualsiasi riferimento a procedure e criteri per misurare e valutare il “merito scientifico e tecnologico”, si ritiene che la valorizzazione del merito necessiti di risorse aggiuntive e non sottratte alla spesa complessiva per il personale
In merito alla possibilità per gli Enti di assumere per “chiamata diretta”, quindi in deroga al principio del concorso pubblico previsto dall’art. 97 della Costituzione, sino al 10% dell’organico dei ricercatori e tecnologi, si ritiene che tale percentuale sia eccessiva rispetto alla reale necessità di acquisire particolari professionalità di “eccellenza”. Tale possibilità, che non deve comunque andare a discapito delle prospettive di carriera per i ricercatori e tecnologi di ruolo, non può superare il limite del 3% dell’organico dei ricercatori e tecnologi già fissato per gli enti vigilati dal MIUR dal d.lgs. 213/2009..
In conclusione, lo schema di decreto non sembra in grado di realizzare quello che era il principio ispiratore di tutta la delega, vale a dire “dare attuazione alla Carta Europea dei Ricercatori”. In assenza di opportuni correttivi al testo, il sistema rischia di essere ancora più “verticistico”, con regolamenti e statuti potenzialmente molto diversi tra i vari Enti ed una accresciuta disomogeneità delle condizioni in cui operano i ricercatori e tecnologi, ai quali non vengono riconosciuti i diritti sanciti dalla Carta europea dei ricercatori.
L’auspicio dell’ANPRI è che le Commissioni si impegnino con tutta la loro autorevolezza per riposizionare le scelte che il Governo può ancora compiere per dare corso alla rigenerazione del Sistema degli EPR, in più occasioni annunciata, determinando un primo effettivo impulso al cambio di marcia di cui il Sistema della ricerca ha urgentemente bisogno per svolgere il ruolo di volano dello sviluppo che gli compete e di cui il Paese ha necessità per uscire dalla crisi.
La Memoria consegnata alle Commissioni contiene infine, in Allegato, una proposta di integrazione dell’art. 2 del decreto legislativo che definisca per via legislativa i ruoli dei ricercatori e dei tecnologi degli Enti di ricerca, qui di seguito riportata:
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Sono istituiti il ruolo nazionale dei ricercatori degli Enti pubblici di ricerca e il ruolo nazionale dei tecnologi degli Enti pubblici di ricerca, nei quali confluiscono, rispettivamente, i ricercatori e i tecnologi degli Enti pubblici di ricerca. Il ruolo dei ricercatori e dei tecnologi è articolato in tre livelli, come stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1991, n. 171.
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Gli Enti provvedono alla definizione delle aree scientifiche (da correlare ai settori scientifico-disciplinari universitari) e dei settori tecnologici in cui ogni ricercatore e ogni tecnologo dovranno essere inquadrato.
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Gli statuti e i regolamenti degli Enti pubblici di ricerca (di cui all’art. 3) assicurano un’adeguata rappresentanza elettiva di ricercatori e tecnologi di ciascun ente negli organi collegiali di governo, di programmazione e di consulenza scientifica dell’ente e ne disciplinano il concorso nell’indicazione del presidente dell’Ente.
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È istituita in ogni Ente, senza oneri aggiuntivi per i bilanci, su base elettiva all’interno dei Ricercatori e Tecnologi di ruolo e con contratto a tempo determinato dell’Ente medesimo, la Consulta dei Ricercatori e Tecnologi, che concorre alla definizione degli Statuti e dei Regolamenti. La Consulta dei Ricercatori e Tecnologi sarà composta di un numero di componenti compreso tra 5 e 20 in relazione al numero di Ricercatori e Tecnologi di ruolo in servizio al 1 gennaio 2016, senza alcun onere aggiuntivo per il bilancio degli Enti. Gli Enti potranno procedere all’approvazione degli Statuti e dei Regolamenti (di cui agli artt. 3 e 4) solo dopo aver espletato le procedure elettive per la costituzione della Consulta dei Ricercatori e Tecnologi.
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In analogia con quanto previsto per le comunità scientifiche delle università, è istituito il Consiglio Nazionale dei Ricercatori e Tecnologi, organo consultivo e propositivo delle comunità scientifiche degli EPR, che esprime pareri, formula proposte, adotta mozioni, raccomandazioni, svolge attività di studio e analisi su ogni materia di interesse per il sistema della ricerca pubblica e annualmente viene consultato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri vigilanti in merito allo stato di attuazione negli Enti della Carta Europea dei Ricercatori e del Codice di condotta per l’assunzione dei Ricercatori. I membri del Consiglio Nazionale sono eletti dalle Consulte degli Enti, assicurando la rappresentanza di almeno un eletto per ciascun Ente.
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Per le attività di competenza del ruolo è riconosciuta ai ricercatori e tecnologi, in coerenza con il principio di libertà di ricerca e di insegnamento sanciti all’art. 33 della Carta Costituzionale, l’autonomia professionale nella gestione delle risorse finanziarie, strumentali e di personale a loro assegnate per fini di ricerca, nonché del proprio tempo di lavoro (figurativamente quantificato in 1500 ore) che determinano autonomamente in modo flessibile alle esigenze della propria attività scientifica e tecnologica, agli incarichi loro affidati, all’orario di servizio della struttura in cui operano, tenendo conto dei criteri organizzativi dell’Ente.