Che il precariato sia un problema cruciale della ricerca italiana è cosa nota. Che esso affligga con particolare durezza gli enti di ricerca è forse meno noto.
Privi di risorse ordinarie a causa dei tagli fortissimi che il Fondo di finanziamento ordinario ha subito, soggetti a vincoli molto stringenti sull’assunzione di nuovi ricercatori e sulle progressioni di carriera, gli Enti tutti hanno situazioni che possono diventare esplosive. Nascono dunque iniziative spontanee (vedi per esempio il movimento ‘Precari uniti CNR’), di protesta organizzata che ha avuto un momento importante di riflessione e di partecipazione il 20 gennaio scorso presso l’Aula Convegni del CNR. Si assiste anche a forme estreme di proteste (vedi la recente occupazione della Sede dell’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale), non guidate se non dalla preoccupazione di coloro che pur lavorando da molti anni nella ricerca, vedono la propria vita professionale a rischio o senza futuro.
Le iniziative sono collegate all’attuazione dell’art. 20 del recente ‘Decreto Madia’ (Decreto Legislativo recante modifiche e integrazioni al D.Lgs. 165/01 – Testo Unico per il Pubblico Impiego, vedi Newsletter del 2 marzo 2017), in cui sono contenute le norme che dovrebbero favorire la stabilizzazione delle figure professionali che da più tempo si trovano in condizione di precarietà; si deve però segnalare la latitanza di molti enti nell’affrontare il problema del precariato, in termini di risorse economiche e di fabbisogno di personale, indicando quale strategia si intenda seguire e quali priorità sostenere anche nei confronti del governo. Si continuano a sentire da parte dei Presidenti degli Enti risposte vaghe, frammentate, prive di una visione di breve, medio e lungo periodo sul precariato, fenomeno permanente della ricerca italiana anche in tempi non afflitti da crisi economiche e tagli della spesa pubblica. Si odono spesso da parte sindacale proposte populiste di tagli improbabili della spesa ordinaria per assumere tutti e subito o di utilizzo surrettizio di risorse provenienti da progetti e contratti per assumere a tempo indeterminato. Sapendo bene che sono soluzioni o che non servono o che non si possono percorrere.
Ma questa politica dello struzzo, di chi non vuol vedere cosa sta accadendo, oppure colpevolmente lo ignora perché intende forse perseguire una politica diversa dalla stabilizzazione dei precari, non fa bene a nessuno. Se non è possibile (e probabilmente neanche giusto) cavalcare l’obiettivo del ‘todos caballeros’ in assenza di una precisa definizione o di una gradazione del concetto di precarietà nell’ambito della ricerca, non ci si può neanche sottrarre al dovere istituzionale di indicare un piano per il precariato, essendo pronti a discuterne obiettivi, ragioni e motivi così da trovare una soluzione il più possibile condivisa con le parti sociali e con i precari stessi, e che non pregiudichi le chances delle prossime generazioni per i prossimi decenni.
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Questa notizia è stata pubblicata nella Newsletter ANPRI del 26 giugno 2017.
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