Il prologo. Per la prima volta, con l’Affare Enti pubblici di ricerca, dopo anni di sterili annunci, era stato avviato e svolto con serietà e rigore da parte della VII Commissione del Senato un lavoro di analisi, sintesi e proposta che aveva portato all’approvazione unanime di una Risoluzione che, disegnando con chiarezza e completezza un quadro di coerenza e di efficacia per il Sistema degli EPR, indicava senza tentennamenti come la “soluzione” non potesse essere parziale e dovesse partire dagli attori principali del sistema Ricerca (Ricercatori e Tecnologi), per arrivare al governo scientifico ed alla gestione degli enti.
L’epilogo? Il risultato cui si è giunti oggi, dopo un percorso costellato da lunghe pause di inattività e da brevi e, a giudicare dal risultato, inefficaci momenti di lavoro da parte dei Ministeri interessati e del MIUR in particolare, è un “topolino”, come del resto si legge in alcuni passaggi della “Relazione illustrativa” allo “Schema di decreto 329” nella quale i redattori, con un evidente imbarazzo, nell’enfatizzare la valenza “rivoluzionaria” delle proposte, riconoscono a chiare lettere che il primo cardine di tutta questa “operazione” è stato cassato: “Tuttavia il recepimento dei diritti e doveri di ricercatori e tecnologi deve essere garantito a monte come un corpus di norme generali a cui tutti gli statuti e regolamenti possano fare riferimento. È evidente che tale scopo non possa essere raggiunto con un semplice contratto di lavoro, soggetto alla variabilità della contrattazione (…sic!!), ma necessiti di un provvedimento sovraordinato …”.
E qui gli estensori della Relazione sono costretti ad arrampicarsi sui vetri per affermare che un tale provvedimento sovraordinato è rappresentato dal presente schema di decreto (…sic!!!). Prosegue infatti la relazione: “l’applicazione della lettera a) dell’art. 13 della legge n. 124 del 2015 non si esaurisce col presente articolo [si tratta dell’art. 2 “Carta europea dei ricercatori”, dove, per non afferrare il toro per le corna, si demanda il recepimento della Carta agli statuti degli Enti come già avvenuto con scarsa efficacia per gli Enti MIUR], ma informa tutti i successivi articoli in materia di personale della ricerca.”. Dunque, come è nelle migliori tradizioni, si solleva una cortina di fumo per mascherare il fatto che manca del tutto quello che dovrebbe costituire un “pilastro” dell’intervento legislativo e non un “mero dettaglio”.
Se a questo vulnus si aggiunge, giusto per richiamarne un altro tra i più pesanti, quanto previsto dal comma 2 dell’art. 6, che impedirà agli Enti il cui costo del personale è uguale o supera l’80% del finanziamento assegnato dallo Stato (vedi CNR, OGS, INDIRE, Area di Trieste ed ENEA) di assumere nuovo personale, si capisce che non si è tenuto minimamente conto del fatto che ci sono Enti per i quali i finanziamenti ordinari sono stati costantemente ridotti nel corso degli ultimi 20 anni, a tal punto che oggi riescono a coprire quasi il solo costo del personale, costringendo peraltro i Ricercatori e Tecnologi a cercare finanziamenti esterni per poter svolgere qualsiasi attività di ricerca.
La dura realtà è che la “semplificazione” tanto sbandierata dal decreto si limita essenzialmente a trasferire gli EPR nelle mani di organi di governo che sono nella stragrande maggioranza designati dal governo di turno, e imposti alle comunità scientifiche, in contrasto con quanto auspicato dalla Carta Europea dei Ricercatori. La “semplificazione” risulta tale perché semplifica il lavoro dei Presidenti designati, dando loro la possibilità di decidere la politica del personale e procedere, attraverso lo strumento della chiamata diretta, a scegliere le figure di vertice scientifico degli Enti, senza necessariamente renderne conto alla comunità scientifica. Anche l’eliminazione del ricorso al Mercato elettronico delle PA, limitatamente all’acquisto di beni e servizi “di laboratorio funzionalmente destinati all’attività di ricerca”, si presta alla libera interpretazione da parte delle varie Amministrazioni, così come saranno oggetto della “benevolenza” dei singoli Enti i nuovi “regolamenti” per il rimborso delle spese di missione. Si rischia di dare origine a una giungla di regole e regolamenti diversi da Ente ad Ente, con aumento di entropia e di disomogeneità delle condizioni in cui operano i Ricercatori e Tecnologi di questo Paese, rendendo di fatto inattuabile la mobilità.
La ragionevole conclusione è che si deve, purtroppo, prendere atto che, allo stato attuale, lo “Schema di decreto 329” propone un impianto complessivo negativo e foriero di giorni bui per gli EPR. Infatti, pur affrontando alcuni dei punti organicamente individuati nella Risoluzione della VII Commissione del Senato, l’aver alla fine “partorito un topolino” rischia, non solo di non migliorare l’efficacia del Sistema degli EPR, ma addirittura di produrre nel breve termine effetti di ulteriore disgregazione delle comunità scientifiche alle quali, dopo decenni di attesa, verrebbe ancora una volta negato il riconoscimento del loro ruolo/status e l’effettiva valorizzazione della loro professionalità.
Due sono le condizioni minimali per non far fallire il disegno della VII Commissione del Senato:
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smettere con le enunciazioni di principio e riempire di contenuti l’art. 2, l’unica ragionevole possibilità di rigenerare il sistema valorizzando la professione di ricercatore e tecnologo e responsabilizzando le comunità scientifiche nel governo degli Enti;
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eliminare il vincolo dell’80% per evitare che gli Enti collassino in assenza di concrete possibilità di assunzioni per giovani competenti e motivati.
Auspichiamo che il Governo, che tanta attenzione riconosce ai Ricercatori e Tecnologi degli EPR nelle sue esternazioni mediatiche, superi i condizionamenti che frenano l’azione di “svolta” in più occasioni annunciata e ridia un primo effettivo impulso al cambio di marcia di cui il Sistema della ricerca necessita con urgenza. Riteniamo che le Commissioni, in particolare la VII Commissione del Senato, vogliano e riescano a smuovere l’elefante che dorme.